Il 38% delle emissioni globali provengono dal comparto edilizia
Scoprire che il comparto edilizia è responsabile del 38% delle emissioni globali è una di quelle notizie che non rendono orgogliosi di essere parte del settore.
L’inquinamento che produciamo è sotto i nostri occhi quotidianamente, e ogni tramezzo che abbattiamo, ogni vetro che sostituiamo, ogni palata di terra che scaviamo la domanda dovrebbe sempre essere: dove andranno a finire?
Purtroppo la domanda resta spesso limitata alla compilazione della modulistica obbligatoria, ma è meglio che niente visto che in altri paesi europei non si fa nemmeno quello.
Le previsioni parlano del raddoppio dell’edificato entro il 2060: una prospettiva impensabile senza una profonda trasformazione delle metodologie costruttive.
Sperimentazione e tradizione per trasformare i rifiuti in risorsa
Tra progetti ambiziosi che combattono il consumo del suolo attraverso la creazione di quartieri galleggianti, ed edifici interamente costruiti con la stessa argilla ricavata dallo scavo per le fondazioni, la sperimentazione nel settore è fervente, e forse oggi per la prima volta dopo moltissimo tempo si può parlare davvero di innovazione.
Per il settore della ristrutturazione la parola chiave è recupero e smontabilità: dobbiamo trasformare i rifiuti in risorsa, e questo è il concetto chiave che potrà rivoluzionare il sistema, non solo nell’edilizia ma in tutti i settori. Il nodo a mio vedere più complesso da risolvere è sia nella scelta dei materiali che nella definizione di una progettazione già indirizzata alla fase dello smontaggio e riutilizzo.
E’ tutto green quello che si definisce tale?
Per il primo punto, la ricerca dei materiali, le variabili che determinano l’ecosostenibilità di un progetto sono varie e talvolta una è in contrapposizione con le altre: l’origine naturale dei materiali infatti non sempre esclude lo sfruttamento di animali e terreno ed anche della forza lavoro umana; allo stesso modo la ricerca di materiali con caratteristiche ecosostenibili intrinseche porta spesso all’approvvigionamento da paesi lontani, aspetto che mal si lega con la riduzione dei consumi e quindi la preferenza per materiali a km zero, ed ancora a cosa dare preferenza tra emissioni in fase di produzione o emissioni nell’ambiente costruito… di esempi simili ce ne sono moltissimi.
Un altro aspetto di cui tenere conto è che la moda dell’ecologia ha portato la maggior parte delle aziende ad autodefinirsi ecosostenibili, ma nei fatti solo una minima percentuale utilizza protocolli di produzione rispettosi dell’ambiente e dell’uomo. Un esempio a mio parere evidente è l’abuso dei cappotti termici realizzati con materiali sintetici: nascosti dietro il bollino del risparmio energetico e con l’avvallo della pubblica amministrazione sono stati messi i presupposti per gravi problematiche che pagheremo tutti, sia in termini di benessere all’interno degli edifici con conseguenze sulla salute, sia in fase di demolizione e smaltimento.
Alla ricerca dei materiali eco
Per facilitare il lavoro di selezione dei tecnici stanno nascendo materioteche con funzione di supporto al progettista, dove vengono analizzati e contabilizzati i vari parametri che definiscono l’ecosostenibilità: qui entra in gioco la discrezionalità del progettista nel definire quali siano i criteri a cui dare preponderanza, e quali siano invece i compromessi da accettare, poichè è quasi impensabile, ad oggi, la definizione di protocolli total green soprattutto nei contesti urbani e di ristrutturazione. Ma speriamo di arrivarci.
Il potere dei progettisti
Per ora l’unica forza a cui possiamo attingere è la coerenza. Nessuno nega che si parla di una battaglia quotidiana contro una realtà sociale ed economica che ha tanta difficoltà ad adattarsi al cambiamento; noi progettisti abbiamo la responsabilità di veicolare il messaggio di salvaguardia del nostro pianeta attraverso lo studio di proposte realizzabili ed economicamente ragionevoli, per quanto costoso e poco pratico possa sembrare a committenti e imprese!